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Non esistono vittime “neutre” e per questa ragione la storia della persecuzione razziale nell’Università di Roma merita di essere studiata anche in una prospettiva di storia di genere, con categorie di analisi specifiche e precisi accorgimenti metodologici, a cominciare dalla ricerca e dall’esame delle fonti.

Cacciate

Sulla base delle fonti attualmente edite e disponibili, le donne ebree allontanate dall’Università di Roma nel 1938-39 sono almeno dieci.

  1. Ajò Nella (1908-1983): personale tecnico di ruolo
  2. Calabresi Renata (1899-1995): assistenti e aiuti volontari
  3. Carsten Marie Emilie (1916-2013): prestatrice d’opera
  4. Castelnuovo Emma (1913-2014): prestatrice d’opera
  5. Franchetti Paola (1914-2011): assistente straordinaria
  6. Gordin Sofia (1883-?): personale infermiere
  7. Mortara Nella (1893-1988): assistenti e aiuti
  8. Piazza Maria (1894-1976): libera docente
  9. Rossi Maria (1898-): assistenti e aiuti volontari
  10. Steinberg Liselotte (1903-): personale infermiere

Fascicolate e non

Su dieci espulse o allontanate, disponiamo del fascicolo personale solo per sette di loro, vale a dire il 70%. Nel caso degli uomini la percentuale sale a oltre il 90%. Perché questa differenza?

I fascicoli mancanti

Per recuperare notizie su queste quattro donne – anche solo per disporre di dati anagrafici certi e puntuali – occorre allargare la ricerca in altri fondi dell’Archivio Sapienza e in altri archivi, sia pubblici sia privati. È il caso di Sofia Gordin, esperta infermiera presso la Clinica oculistica.

Il caso di Nella Ajò 1908-

Possiamo considerare quella di Nella Ajò, tecnica di ruolo presso l’Istituto Chimico, una vicenda rivelatrice.

Le accademiche

Tra le cinque studiose che ricoprivano incarichi di docenza non c’è nessuna professoressa ordinaria. Le più titolate erano la fisica Nella Mortara e la mineralogista Maria Piazza, entrambe libere docenti: in pratica, il massimo cui potevano ambire le donne e in particolare le scienziate.

La donna immobile: Maria Rossi 1898-

C’è una storia individuale che riassume la condizione professionale e accademica all’epoca comune a molte donne ed è quella della milanese Maria Rossi, laureata in Medicina e chirurgia, assistente volontaria presso la Clinica delle malattie nervose e mentali.
Scorrendo i documenti del suo fascicolo, è una sequenza di conferme senza mai un avanzamento. Entra nell’a.a. 1926-27 e dodici anni dopo, quando viene cacciata, è ancora solo assistente volontaria.
 
 


Talentuose

Sono studiose capaci e preparate. A riconoscere il loro talento e le loro qualità è la stessa istituzione, l’Università di Roma, che le confina ai margini dell’accademia e della professione.

Cervelli in fuga

Le leggi razziali determinano una grave perdita – quasi sempre irreparabile – sul piano scientifico e culturale. Molti espulsi trovano rifugio all’estero e innanzitutto negli Stati Uniti, dove cominceranno una nuova vita con una nuova nazionalità. Non fanno eccezione le donne qui esaminate, quantomeno quelle che possono e riescono a espatriare.
Il caso di Calabresi è emblematico delle difficoltà e della sofferenza che accompagnano questo espatrio involontario. E anche di quanto sia altrettanto difficile e per nulla scontato il ritorno.


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